Le Trasformazioni
Nel 1744 il Duca Giuseppe Sforza Cesarini stipula un contratto con le maestranze al fine di ricostruire il braccio di fabbrica del Palazzo che prospetta sua via dei Banchi Vecchi.
Quest’ala dei Palazzo dopo il crollo o la demolizione, avvenuta probabilmente tra il 1583 ed il 1593, non era stata più recuperata, tanto che la parte sopra il portone veniva abitualmente utilizzata come loggia scoperta [ … ] solita ad ornarsi con vasi d’agrumi”.
L’incarico della progettazione della direzione dei lavori è affidato all’architetto Pietro Passalacqua che presenta il “modello”, e stima l’ammontare della spesa per la sua realizzazione in 10000 scudi da dividersi tra le maestranze.
Il tipo di contratto, che non prevedeva l’aumento della spesa preventiva, salvo per la liquidazione di lavori non compresi nell’accordo, ed un’errata stima del Passalacqua avallata peraltro dalle medesime maestranze conducono, nel corso dell’opera, all’adozione di accorgimenti aventi lo scopo di ridurre la suddetta spesa a discapito della stabilità della fabbrica.
A questo proposito le successive perizie riguardanti l’edificio riscontreranno le carenze dell’esecuzione in ordine alla quantità ed alla qualità dei materiali, nonché al dimensionamento delle strutture.
La ricerca archivistica svolta ha permesso di individuare i lavori eseguiti nel 1744 per l’edificazione dei braccio di fabbrica prospettante su via dei Banchi Vecchi.
Il manoscritto, costituito da circa 700 pagine, rappresenta un documento di estremo interesse per l’analisi delle vicende costruttive dell’edificio, e più in generale, per la comprensione dei cantieri romani dei Settecento.
Un corpus documentario di particolare interesse risulta essere quello conseguente alla lite giudiziaria che, a partire dal 1749 interessa il Duca Sforza Cesarini ed il capo mastro muratore per il risarcimento dei danni avvenuti nel Palazzo appena edificato. Dopo la morte del Passalacqua avvenuta nel 1748, quella del capo mastro muratore risulta essere la figura di maggiore responsabilità nel cantiere.
La causa verte soprattutto sull’individuazione dei ruoli svolti dall’architetto e dalle diverse maestranze presenti e quindi delle responsabilità da attribuire in ordine ai lavori male eseguiti.
Di qui la responsabilità di analizzare in dettaglio le mansioni quotidiane dell’architetto e dei suoi collaboratori e di individuarne le singole competenze nel corso dei lavori.
La lettura dei documenti anzidetti consente inoltre la restituzione della facies originaria del prospetto su via dei Banchi Vecchi nonché della distribuzione planimetrica alterata per motivi strutturali nel restauro del 1781 1794 a seguito degli interventi ottocenteschi.
Ad esempio la descrizione dei lavori di imbiancatura ci permette di individuare la tinta originaria costituita da un color celestino per i fondi e da un color di travertino per gli aggetti; l’uso di tale bicromia si perpetua nella ritinteggiatura del 1792 con la sostituzione del color celestino con il color dell’aria, che viene esteso anche al prospetto sulla piazza Sforza Cesarini.
Solo nel 1866 quest’ultimo verrà trattato con bicromia travertino mattone. Anche la sostituzione degli infissi ha contribuito alla modifica della originaria facies del prospetto.
Alle finestre originali costituite probabilmente da telaio con pettorale, da vetri di piccole dimensioni e da store per l’oscuramento, si sostituiscono, nel restauro dei 1781 94, le attuali finestre che semplificano i diversi elementi e introducono le persiane al posto delle store.
L’asse finestrato sull’entrata doveva essere poi ulteriormente marcato dalla presenza al secondo piano di un parapetto in ferro, in seguito sostituito da un parapetto murario senza soluzione di continuità con quelli posti al di sotto delle altre finestre.
L’edificazione del prospetto sul cortile comporta la demolizione del prospetto loggiato di cui viene riutilizzato, con eguale funzione, il muro di fondo del portico.
Il restauro avvenuto tra il 1781 ed il 1794 riguarda interventi strutturali nel palazzo e l’esecuzione di un ciclo decorativo da estendere alla maggior parte dell’edificio, al fine di uniformarlo ai modi settecenteschi.
L’architetto Giuseppe Subleyras sopraintende al restauro, che comporta la demolizione delle volte al primo piano, le quali vengono sostituite con soffitti lignei, e l’erezione di un muro di spina parallelo al prospetto; l’architetto Francesco Panini tara i conti inerenti il ciclo decorativo (da lui stesso eseguito con prospettive architettoniche a trompe l’oeil).
All’apertura del Corso Vittorio Emanuele II consegue il sacrificio del giardino, delle scuderie e del piccolo teatro del Pavone nonché la riedificazione del corpo di fabbrica che precedentemente prospettava sul giardino e che, con l’apertura del Corso, sarà destinato a far parte della quinta stradale.
Fausto Pace
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